(253) Da ciò probabilmente quella noncuranza apparente, quel fatalismo orientale che si nota presso i contadini, specie presso i Rumani, e che si attribuiva sovente all’influenza degli Osmani, antichi padroni del paese. Anche quando la carestia infierisce in Transilvania per mesi ed anche per anni, ed il disgraziato Valacco, ridotto a qualche boccone di malé, che è una pasta grossolana di frumentone, vede i figliuoli gridare per fame, egli non perde la sua calma meravigliosa.
Una dello disgrazie dell’agricoltura ungherese è la deplorevole ripartizione del suolo. Vasti dominî sono ancora proprietà di mano-morte: altri sono talmente grandi, che il possessore non li ha mai percorsi, occupando regioni di centinaia di chilometri quadrati di superficie. La piccola proprietà non occupa nemmeno un terzo del territorio, e si compone specialmente di particelle troppo poco considerevoli; la proprietà media, dove si compiono ordinariamente i maggiori progressi è assai debolmente rappresentata in Ungheria.(254) Gli immensi terreni dei grandi proprietari sono in generale molto mal coltivati e producono appena da 3 a 6 franchi di reddito netto per ettaro. I possedimenti dello Stato ungherese sono ancora meno produttivi; nel 1870, davano un reddito valutato a 1 franco e 36 centesimi per ettaro, e si tratta di terre che si reputano fra le più fertili dell’Europa; ma in questi ultimi anni il prodotto si è notevolmente accresciuto. Sebbene meglio utilizzati, i campi della piccola nobiltà sono anch’essi in un triste stato di coltura, nella maggior parte della pianura ungherese e dell’altipiano transilvano, la coltivazione del suolo è sempre una specie di saccheggio.
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