I villaggi ed i casolari abitati dai rappresentanti delle due famiglie slave sono sparsi in disordine; in parecchi distretti, le popolazioni, assai mescolate, parlano insieme le due lingue e non si sa a quale stipite appartengano in maggioranza. Nondimeno si può considerare in generale la valle del San, uno dei grandi tributarî orientali della Vistola, come la zona di separazione. Una volta, allorchè i Polacchi erano i padroni del governo e dell’amministrazione, gl’intermediarî naturali della civiltà occidentale, la loro lingua vinceva poco a poco sul ruteno, idioma fluttuante che non aveva un interprete letterario; adesso il dialetto slavo, di cui si servono gli abitanti civili delle città poste all’est del San è ancora il polacco classico. Ma nella massa stessa del popolo sembra sia seguito un riflusso; l’idioma dei Ruteni ha ormai acquistato la prevalenza, e questi non cessano di metter piede all’ovest sul territorio degli antichi padroni. D’ordinario la religione, come la lingua, serve a distinguere i due popoli, giacchè i Polacchi sono quasi tutti cattolici romani, mentre i loro vicini professano la religione greca unita. I piccoli nobili ruteni, quelli che si chiamano per derisione chodaczkova szlachta, «gentiluomini in sandali» e differiscono appena dai contadini pel genere di vita, professano pure in molti siti la stessa religione.(286) Ma i proprietari dei grandi dominî sono cattolici la maggior parte; però, anche sotto il regime polacco, alcuni signori di rito greco unito e di religione bizantina avevano un posto al Senato e coprivano i più alti impieghi; molti nobili, quantunque cattolici romani, si recano alla chiesa greca, il cui rito è loro più famigliare.
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