Secondo gli antichi procedimenti politici sarebbe apparso naturalissimo che la Corte di Vienna non aspettasse che il momento favorevole per mandare un esercito nell’interno della Bosnia e rettificare a suo profitto la bizzarra frontiera della Dalmazia. L’Austria era invitata da ogni parte a fare quest’atto di forza, che anticipatamente sembrava giustificato dal successo. Grazie al possesso dei porti di mare e del corso della Sava, le truppe austriache avrebbero potuto senza fatica penetrare nell’interno del paese bosniaco, mentre i Turchi, al contrario, non avrebbero potuto avventurarsi senza pericolo al di là delle montagne dello Scardo, in un territorio insorto, fra gli Austriaci ed i Serbi. Se simile occasione si fosse presentata nel secolo scorso, nessun dubbio che sarebbe stata immediatamente afferrata; ma questa volta l’Austria-Ungheria si lasciò imporre, per così dire, l’annessione della Bosnia: essa non osava risarcirsi colla conquista di una parte delle perdite che aveva subite.
Era probità politica, obbedienza agli ordini di un potente vicino, o piuttosto una legittima apprensione dei pericoli futuri? Entrando coll’annessione nello stesso impero degli Sloveni, dei Croati e degli Slavoni dell’Austria-Ungheria, i Croati di Turchia, i Bosniaci, gli Erzegovesi spostano per ciò stesso il centro di gravità dello Stato. Non è più il tempo in cui popoli intieri, cambiando di padrone come un immenso gregge, non si danno pensiero di sapere a qual nuovo servaggio li condanni il destino; qualunque sia lo stato di barbarie degl’infelici Slavi della Turchia occidentale, basteranno loro certamente pochi anni di vita comune cogli altri sudditi della monarchia austro-ungarica, per imparare a riconoscere i loro alleati e ad evitare i loro avversari di razza, di religione, d’interessi politici.
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