Una zona costiera, che si sviluppa su di una lunghezza di circa 600 chilometri e la cui larghezza è da 15 a 20 chilometri soltanto, non poteva evidentemente diventare il dominio d'un popolo autonomo; gli abitanti del paese alto, di-scendendo all'improvviso dalle montagne, erano per necessità i padroni delle ricche borgate, che si vedevano ai piedi. Per quanto sia spiccato il contrasto del suolo, del clima e delle coltivazioni fra gli altipiani iranici e le basse campagne del Mazanderan, esso simboleggia l'opposizione del bene e del male molto meno nettamente di quello che faccia, nella Persia propriamente detta, il passaggio brusco dalle sabbie mobili o dagli aspri dirupi del deserto all'oasi ombrosa e verdeggiante, piena di mormorii di fontane, di canti d'uccelli, che cela una città popolosa nelle profondità del suo verde.
I vapori del Caspio e quelli che portano i venti polari, hanno contribuito più di qualunque altro agente geologico a dare al Mazanderan l'ornamento della sua vegetazione. La quantità di pioggia, che cade sui versanti dell'Elburz, non è stata ancora determinata da osservazioni comparate; ma, secondo le valutazioni approssimative, sui pendii settentrionali della montagna pioverebbe almeno cinque volte di più che sui pendii opposti, volti verso l'Iran [219]. Quando le nuvole di pioggia salgono dal mare, si vedono quasi sempre fermarsi sulla cresta dei monti, nettamente limitate dall'aria secca, che incombe sugli altipiani [220]. Dopo i grandi rovesci, l'acqua dolce che i venti del mare avevano gettata sui monti e che i torrenti hanno riportata al mare, si stende fino a gran distanza sopra l'onda salata del Caspio; una tradizione, riferita da Plutarco, dice che Alessandro beveva di quell'acqua nella sua campagna d'Ircania.
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