Kain, l'antica capitale, situata sui confini della "Pianura della Disperazione", che si stende ad est verso Farah, non è più che una rovina: le sue mura sono attraversate da breccie, e le piante selvatiche hanno invaso i suoi giardini e le sue zafferaniere; delle ottomila case che racchiude la cinta, millecinquecento al più sono abitate; [336] le fortificazioni, già costruite dai Guebri sulla cima della collina, non sono più che mucchi di rovine, ma si vedono ancora le "torri del silenzio", dove gli adoratori del Fuoco deponevano i loro morti. Birgiand (un tempo Mihrgian), la capitale moderna, è una delle città più animate della Persia orientale; le sue tre-mila case, coi tetti a cupola, che le fanno rassomigliare ad alveari d'api, sono pigiate sui pendii di coste aride, allo sbocco di quattro acquedotti sotterranei; nel cuore dell'estate, quando si disseccano le fontane circostanti, i campagnoli immigrano nella città, la cui popolazione si trova così temporaneamente raddoppiata. Il commercio è attivissimo, ma i tappetti famosi, che rivendono in tutta la Persia, come prodotti dell'industria di Birgiand, sono tessuti quasi esclusivamente nel villaggio di Darakch, [337] 80 chilometri a nord-est, da operai che discendono da emigranti di Herat [338]. Gl'indigeni parlarono alla spedizione inglese, nel 1872, d'un platano enorme, che si troverebbe 35 chilometri a sud-est di Birgiand, a Gulfanz, e che avrebbe non meno di 62 metri di circonferenza: il tronco scavato servirebbe da ovile, ed alcuni rami porterebbero ancora foglia.
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