È situata nel bacino del lago d'Urmiah, e la massa bruna delle sue costruzioni copre un suolo leggermente inclinato, in mezzo ad una pianura dominata a nord-est e ad est da roccie nude, dal profilo vigoroso, mentre a sud sorge il cono regolare del Sehend. Migliaja di giardini inaffiati da "novecento canali" circondano la città, contrastando pel loro denso fogliame coll'aridità delle colline. Veduta dalle alture, Tabriz, la cui mura di cinta ha una periferia di non meno che 18 chilometri e la quale projetta ancora dei sobborghi lungo strade divergenti, sembra una delle più grandi città del globo; ma, quando si è entrati nella cinta e si percorre il labirinto delle strade fangose, si riconosce facilmente che non potrebbe, come ai tempi di Chardin, essere paragonata alle capitali dell'Europa: a quell'epoca, nel 1673, avrebbe avuto 300 caravanserragli, un bazar di 15,000 botteghe, 230 moschee e 550,000 abitanti. Tabriz, come la maggior parte delle altre città persiane, non ebbe soltanto a soffrire assedi ed incendi, ma è inoltre assai esposta ai terremoti: la storia parla di cinque grandi scosse, che la distrussero parzialmente, seppellendo migliaja di vittime; nel 1727 settantamila persone sarebbero state inghiottite o schiacciate; nel 1780 il numero dei morti sarebbe stato di quarantamila. Così si spiega come Tabriz sia così povera di edifizi ragguardevoli, malgrado la sua antichità, la ricchezza de' suoi negozianti, la potenza dei sovrani e dei governatori, che vi risiedevano, la bellezza dei materiali adoperati per la costruzione dei palazzi: lave, porfidi, marmi e majoliche.
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