Tihran, Negiefabad si succedono, formando una interminabile via fra le mura dei giardini, poi si entra nella città per un mirabile viale di platani, una delle meraviglie dell'Iran.
[Tavola 20.png - ISPAHAN. - PONTE SULLO ZENDEH RUND. Disegno di Taylor, da una fotografia del signor Dieulafoy].
Ispahan (Isfahun, Isfahun) non è più la "Metà del Mondo", come i suoi abitanti la dicevano una volta, vantando lo splendore de' suoi edifizi, la ricchezza della sua industria, la bellezza dei suoi giardini. La più gran parte dello spazio, chiuso nella cinta di 37 chilometri, è disabitata; palazzi, moschee, bazar, dove si pigiava la folla, non sono più che un mucchio di rovine; sciacalli e volpi si rintanano in mezzo alle macerie. Fra le ruine si cerca col pensiero la piramide di 70,000 crani, che vi fece elevare Tamerlano per rammentare alle generazioni future la vendetta, che si prese della città ribelle. E tuttavia Ispahan s'era riavuta dal disastro, e sotto il regno d'Abbas, nel secolo decimosettimo, diventò una delle più grandi città del mondo, contenendo almeno mezzo milione d'abitanti: le diverse "memorie", che si fece consegnare Chardin relativamente alla popolazione d'Ispahan e de' suoi sobborghi, variavano nelle loro valutazioni fra seicentornila ed un milionecentomila persone; il numero delle case superava le trentaduemila. Scalo del commercio dell'Asia Centrale, la città era diventata un ritrovo di negozianti: le case d'Olanda e d'Inghilterra vi avevano dei rappresentanti, e gli Armeni possedevano ricche officine nel sobborgo, che porta il nome di Giulfa, in ricordo della città bruciata delle rive dell'Arasse.
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