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      Giusta la tradizione, l'incendio distrusse l'edifizio, sebbene non si veda sul marino traccia alcuna del fuoco, e alcune colonne abbiano conservato la loro levigatezza, "così unita e così chiara, diceva Herbert nel secolo decimosettimo, che nessuno specchio d'acciajo lo è più al paragone". Alcuni maomettani iconoclasti hanno abbattuto le faccie dei tori alati e tutte le rappresentazioni di figure umane. Parimenti il tempo ha rovesciato mura, distrutto colonne, ma tal quale è, l'edilizio presenta ancora un insieme grandioso. Un doppio scalone, di cui un uomo a cavallo salirebbe facilmente i larghi gradini di marmo nero, mena sulla terrazza quadrata, che regge il monumento. Nel 1765 Niebuhr contò diciassette colonne, avanzo delle settantadue, che avevano fatto dare al palazzo il nome di "Cento Minareti"; attualmente, più d'un secolo dopo, dodici sussistono, con alcuni avanzi di capitelli. Al di là, sui tre ripiani successivi della terrazza, lastricata di marmo, si vedono muri sbrecciati, porte, pilastri, rovine informi, in cui l'archeologo però ha finito col riconoscere la disposizione delle sale pubbliche e degli appartamenti privati [381]. Alcune sculture e certi dettagli di costruzione, rammentano l'influenza egiziana, ma l'insieme è d'una grazia elegante che attesta la "parentela" esistente a quell'epoca fra l'arte della Persia e quella della Grecia [382]. Gli architetti, che costruirono il palazzo di Serse, avevano certamente veduto i templi greci della Jonia ed i monumenti della Lidia [383].


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Nuova Geografia Universale. La Terra e gli uomini
Volume IX - L'Asia Anteriore.
di Elisée Reclus
Editore Vallardi Milano
1891 pagine 1124

   





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