Gli spostamenti di popolazioni intere, deportate da una provincia in un'altra, produssero la conseguenza di gettare nella vita nomade non poche famiglie, che, da padre a figlio, avevano menato un'esistenza sedentaria. Infine le esazioni e le violenze dei governatori hanno spesso lasciato agli abitanti dei villaggi l'unica risorsa dell'abbandonare campi e capanne e mettersi a vivere di mendicità, d'avventure o di latrocini. Presi in massa, i nomadi non contribuiscono alla ricchezza nazionale se non coll'allevamento del bestiame. Hanno mandre di pecore tanto ragguardevoli da poter bastare al consumo degl'Irani, che mangiano quasi esclusivamente la carne di montone; le tribù non hanno altra moneta, altro mezzo di scambio che le pecore. Vendono anche le lane, ma senza darsi la cura di nettarle, e non cercano punto di migliorare la razza. Le capre, che si allevano raramente per la carne, forniscono agli industriali di Kirman quella lana o lanuggine, che serve a fabbricare gli scialli più fini. Si raccolgono del pari per foggiarne feltri i peli di camello, che cadono in grossi ciuffi nella primavera. I nomadi hanno pochi cavalli, ma molti asini e muli pel trasporto delle provviste e delle tende. Nei loro accampamenti, gli uomini non si danno ad alcun lavoro industriale; le donne più attive tessono pel mercato della città, stuoie, tappeti grossolani, coperte.
Da secoli gli artigiani della Persia non hanno modificato punto i loro processi, ed invano s'è voluto fondare, presso Teheran ed altre città, manifatture simili a quelle dell'Europa: il difetto d'esperienza negli operai, il caro prezzo del combustibile, l'improbità dei capi, l'alto costo di fabbrica hanno sempre pro-dotto la rovina di questi stabilimenti fondati con grandi spese.
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