L'istruzione elementare in Persia è più sviluppata che in certe provincie dell'Europa. A quasi tutte le moschee è annessa una scuola o médressé; tutti i fanciulli della città e quelli della maggior parte dei villaggi imparano a recitare versetti del Corano, strofe dei loro poeti; il loro gusto poetico è tanto sviluppato, che ogni persiano, nei bazar, nelle botteghe, negli accampamenti delle carovane, si diverte a recitare idilli di Hafiz o versi di Firdusi; migliaia di loro sono abilissimi nel comporre versi, redigere memorie sopra un argomento scientifico, un dogma teologico od un problema d'alchimia. Fin dalla metà del secolo si traducevano in persiano, sotto la direzione del signor di Gobineau, opere come il Discorso sul Metodo. Il titolo di mirza, messo, è vero, in principio od in fine del nome, secondo il senso che gli si dà, significa egualmente "principe" o "letterato". "L'inchiostro dei dotti è più prezioso del sangue dei martiri", ripetono i Persiani col Profeta. Però la stampa, introdotta a Tabriz, dopo il principio del secolo, è ancora poco utilizzata; i manoscritti sono riprodotti segnatamente colla litografia; una bella scrittura essendo considerata come uno degli acquisti più preziosi, s'inchina molto a servirsi del processo, che rispetta di più la forma elegante delle lettere manoscritte. I Persiani hanno pure alcuni giornali a Tabriz, Teheran, Ispahan; ma questi fogli, redatti sotto gli occhi dei governatori, sono ben lontani dall'essere, come nei paesi d'Europa, uno dei "poteri dello Stato".
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