Coraggiose come gli uomini e capaci di prender le armi al bisogno, amano pure i giojelli ed i bei vestiti, ma è raro che possano adornarsene: i mariti se li riservano. Il Kurdo ricerca le stoffe care e variegate, i colori chiassosi, le acconciature alte, con scialli splendidi: al peso del suo costume aggiunge l'arsenale della cintura, pistole, coltelli e jagatan, il fucile, che porta a bandoliera, la lunga lancia decorata di freccie e di nastri, sulla quale si appoggia; ma pei combattimenti ha cura di armarsi più alla leggiera. Bagdad spedisce nelle montagne kurde fusti di bambù per le lance e pelli di rinoceronte per gli scudi [512].
Nel suo viaggio attraverso i paesi kurdi dell'altipiano, il signor Duhousset non ha rilevato alcuna differenza fisica fra i capi e la folla dei coltivatori che lavorano i campi kurdi, ma gli esploratori ed i missionari, che hanno soggiornato lungo tempo in mezzo alle tribù, sono unanimi nel riconoscere nella maggior parte delle popolazioni kurde, in Persia e nella Turchia d'Asia, due caste ben distinte, appartenenti probabilmente a ceppi etnici differenti: queste due caste sono i kermani od assireta, vale a dire i nobili, ed i guran o contadini. Questi, quattro o cinque volte più numerosi dei primi nel Kurdistan meridionale, sono considerati, e probabilmente a giusto titolo, come discendenti d'una nazione vinta e soggetta: [513] sono chiamati rayà nella Turchia d'Asia, del pari che gli altri servi della gleba. In certi distretti sono infatti schiavi, obbligati a coltivare il suolo per padroni, che s'arrogano su di essi il diritto di vita e di morte.
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