Il furto a mano armata è considerato come l'atto onorevole per eccellenza, ma essi disprezzano il contrabbando, che sarebbe facile esercitare in quel paese montuoso, dove s'incontrano le frontiere di tre Stati: questo turpe traffico sembra loro inferiore alla loro dignità. Nondimeno approfittano della vicinanza dei confini per organizzare le loro spedizioni, ora in un paese, ora in un altro, in guisa da far pesare la responsabilità sui loro vicini e da mettere la frontiera fra loro e le truppe che li inseguono. Se si tratta di soddisfare l'odio di razza e di religione contro gli Armeni, essi sono nel loro vero elemento e si preparano lietamente a spedizioni di ladroneccio. È per evitare questi vicini pericolosi che tanti distretti armeni si sono spopolati a benefizio della Transcaucasia; in certe regioni degli altipiani, le città, i gruppi dei villaggi armeni sono come assediati da questi ladroni; nessuno osa avventurarsi fuori del limite dei giardini. Le pene terribili applicate ai briganti, anche il rogo ed il palo, non spaventano punto le tribù, e spesso anzi le spingono a terribili rappresaglie; represse in un luogo, le lotte ricominciano altrove, obbligando talvolta il governo turco a spedizioni militari. Secondo Polak, esisterebbe una setta kurda, presso la quale il furto sarebbe severamente proibito sui vivi, ma permesso sui morti, ed i settari si crederebbero quindi autorizzati ad uccidere quelli, di cui bramano la sostanza. Però in tempi ordinari i ladroni kurdi rispettano la vita umana; essi non uccidono quelli che spogliano, e lasciano anzi dei viveri e dei vestiti ai poveri nei villaggi, che hanno saccheggiato.
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