Una statistica, stabilita per ordine di Omar, constata che i campi fecondi del Sawad o "Terre Nere", dell'estensione totale di un milione centomila ettari soltanto, fornivano al tesoro un reddito di 85 milioni di lire, controllato dai sigilli di piombo, che i coltivatori portavano al collo dopo pagata l'imposta. Oggidì la popolazione è molto scemata, ma stupisce ancora, e fa sorgere la domanda come mai la natura consenta a ricompensare il lavoro così primitivo dell'arabo. Egli fa la scelta d'un khor, lembo di terreno paludoso, il cui centro è occupato dal fango e dalle canne, poi, senza lavoro alcuno o semplicemente dopo aver grattato il suolo con un bastone ricurvo, che intacca la terra meno del dente d'un rastrello, e senza nemmeno darsi la pena di strappare le male erbe, getta la semente d'orzo nel suo campo. Appena le foglie si mostrano, si lasciano libere le bestie nel khor perchè bruchino i primi germogli, poi si abbandona tutto fino al giorno della raccolta. Quattro mesi dopo la semina, in aprile, la messe è pronta per la falciatura. Fino a trenta e quaranta spighe nascono da ogni semente [598].
L'acqua è ancora abbastanza utilizzata nelle campagne, sebbene con processi primitivi, di guisa che il fiume è notevolmente assottigliato in certe parti del suo corso. In generale gli abitanti delle rive irrigano i loro campi per mezzo d'un maneggio che abbassa e solleva alternativamente un otre in pelle di capra. Nei distretti industriosi adoperano ruote, che la corrente fa girare e le cui ciotole gettano l'acqua negli acquedotti di pietra costruiti al sommo della sponda.
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Omar Sawad Nere
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