Gli esempî moderni di simili restaurazioni non mancano: così nel luglio 1838 un battello a vapore discese il canale di Saklaviyah fino al Tigri, a Bagdad. In seguito sono stati riparati altri canali babilonesi; ma le derivazioni che si scavano oggi per uso delle irrigazioni, sono in generale di dimensioni molto più modeste delle antiche; non hanno quella larghezza di 20 a 80 metri, che ne faceva veri fiumi, e non sono punto fornite di serbatoi regolatori lastricati e murati, come quelli che si vedono qua e là, perduti nell'interno delle terre; abbandonate da centinaia d'anni, queste opere non sono più circondate di verde come un tempo: intorno intorno la pianura si stende a perdita di vista, bianca d'efflorescenze saline. La costruzione degli argini è fatta ancora con molta arte dagli abitanti delle rive, Arabi o no: rami di tamarischi e canne servono loro per formare delle fascine elastiche e con ciò più resistenti della pietra; la melma, deponendosi negli interstizî, dà corpo ai rivestimenti degli argini e contribuisce alla loro solidità.
[Immagine 064.png -N. 64. -- FOCI DELLO SCIAT-EL-ARAR].
Alcuni chilometri a valle della congiunzione, lo Sciat-el-Arab riceve un affluente notevole, la Kerkha, il fiume persiano che discende dalle montagne del Luristan. Largo mezzo chilometro in media e profondo da 6 a 10 metri, il "Fiume degli Arabi" è uno dei grandi corsi d'acqua dell'Asia, senza però che si possa paragonarlo a correnti quali il Yangtze, il Gange, il Brahmaputra; è anche molto inferiore al Danubio, il rivale dell'Eufrate per la lunghezza del corso, sebbene attraversi un paese più umido.
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