Uno stesso crinale sembra appartenere per uno dei suoi versanti alla zona pontica e per l'altro alla zona delle steppe: da questo lato le piante sono rade e d'un tipo uniforme; da lontano il loro verde grigiastro si stacca appena dalle tinte sbiadite dell'argilla o della pietra [779].
I botanici hanno constatato che colonie di specie straniere s'incontrano sui terreni, dove s'erano stabiliti degli immigranti. Così fra gli avanzi delle fortezze erette dai Genovesi e dai cavalieri di Rodi in qualche promontorio o sugli isolotti della costa meridionale, nascono saponarie ed altre piante di Europa, discendenti da quelle che seminarono gli Occidentali or sono sei o sette secoli; esse non fioriscono in alcun distretto lontano dagli edifizî eretti dai Giauri [780]. Vi sono del pari alcuni orti che la tradizione dice siano stati piantati dai Crociati o dai Genovesi; noci, meli e ciliegi si succedono nello stesso vallone senza essersi estesi sul suolo circostante o senza che il loro dominio sia diminuito dopo la scomparsa degl'infedeli. Ma se l'Anatolia ha ricevuto negli ultimi secoli qualche specie vegetale portata dagli Europei, essa ha dato ben più che non abbia ricevuto. Nel secolo decimosesto i primi giardini botanici dell'Occidente furono in realtà vere scuole d'acclimazione pei vegetali levantini: fu allora che Pietro Belon introdusse in Francia l'elce, l'albero di Giudea, l'agno casto, il sommacco, il ginepro d'Oriente, il gelso bianco e nero, il viburnum tinus, il giuggiolo, il diospiro loto, il mirto e tante altre piante dell'Anatolia [781].
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