Essi non possono lottare contro i Greci, che, sotto le esteriorità di transazioni pacifiche, si vendicano della guerra di sterminio, di cui Cidonia e Scio hanno conservato le traccie. I Turchi non combattono ad armi eguali; per lo più essi non conoscono che la propria lingua, mentre il greco ne parla parecchie; sono ignoranti ed ingenui di fronte ad avversari abili ed astuti. Senza essere pigro, il turco non ama darsi gran fretta: "La fretta è del diavolo, la pazienza è di Dio!" ripete volentieri. Non potrebbe rinunciare al suo kief, una dormiveglia, durante la quale vive della vita delle piante, senza la fatica del pensare e del volere; mentre il suo rivale, fermo nella sua volontà continua e precisa, sa utilizzare anche le ore del riposo. Persino le doti del turco congiurano a' suoi danni: onesto, fedele alla parola data, esso lavorerà sino alla fine de' suoi giorni per pagare un debito, ed il commerciante ne approfitta per offrire lunghi crediti che lo assoggetteranno per sempre. È un principio di affari in Asia Minore: "Se vuoi prosperare, non fare al cristiano che un credito eguale al decimo della sua sostanza, arrischia il decuplo col musulmano!" Così indebitato, il turco non ha più niente che gli appartenga; tutti i prodotti del suo lavoro andranno all'usurajo; i suoi tappeti, le sue derrate, le sue mandre, la sua terra medesima passeranno successivamente nelle mani dello straniero. Quasi tutte le industrie locali, ad eccezione della tessitura delle stoffe e dei lavori da sellajo, gli sono state tolte; privato d'ogni partecipazione al commercio marittimo ed al lavoro delle manifatture, esso è respinto gradatamente dal litorale verso l'interno, ricondotto alla vita nomade d'un tempo; gli si lascia l'agricoltura solo per fargli lavorare il proprio suolo come mercenario; ben presto non gli resterà che condurre le carovane o seguire le mandre da un pascolo all'altro.
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