I Genovesi, che possedevano l'isola prima che cadesse fra le mani dei Turchi, annettevano un tal valore al monopolio della famosa gomma, che per sorvegliare più facilmente i contadini e prevenire ogni contrabbando, avevano trasformato in una vasta prigione ogni "villaggio da mastice". Anche oggi le borgate del mezzodì dell'isola sono vere fortezze quadrate, le quali comunicano colle campagne per una angusta porta praticata nella cinta delle alte rnuraglie e chiusa la notte da una griglia di ferro. Nell'interno, le case sono strette le une contro le altre intorno ad un campanile, sul quale non si può salire che per una scala a corda. Nè la città di Castro, nè gli altri luoghi abitati dell'isola hanno conservato avanzi antichi; solo ad otto chilometri a nord della città, v'è un banco scolpito nella roccia e portato da effigie grossolane rappresentanti leoni o sfingi: questo monumento, forse preellenico, è chiamato "la scuola d'Omero", giusta una tradizione che fa del poeta un filosofo e lo mostra seduto in quel luogo, circondato da' suoi discepoli. Nei tempi moderni, come nei tempi antichi, Scio ebbe figli che segnarono orme gloriose nelle scienze e nelle lettere: l'ellenista Coray, che tanto ha fatto per la restituzione dei testi classici, era scioto. I Turchi hanno una guarnigione nella cittadella e raramente vi lasciano penetrare i cristiani; ma non s'impicciano del governo dell'isola. Gli affari di Scio, come quelli della maggior parte delle terre dell'Arcipelago, sono condotti da un patriziato quasi autonomo.
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