Come lo ricorda la storia degli Ebrei erranti nella penisola del Sinai alla ricerca delle fontane, l'acqua "viva" è la sorgente stessa della vita nel deserto; intorno ad essa nascono gli alberi, si aggruppano gli animali e gli uomini: è la proprietà per eccellenza della tribù; gettarvi ciottoli equivale ad una dichiarazione di guerra [1005]. Coloro che l'onda pura fa rivivere ne celebrano l'apparizione come un miracolo: è la "bacchetta" d'un nebi, che ha spaccato la roccia e fa zampillare l'acqua dalle profondità.
Le più famose sorgenti dell'Arabia Petrea sono le fontane dette "di Mosè", Ain-Musa, che scaturiscono, non lontano dal golfo, a venti chilometri da Suez. Le acque, che un tempo erano amare, dice la leggenda, e che il Profeta trasformò in acque dolci immergendovi un ramo, sgorgano dalla cima di montagnole argillose, che hanno formato esse stesse coi loro depositi successivi; altre montagnole, le più grandi delle quali si innalzano di 30 metri sopra la pianura, sono abbandonate dall'acqua, che, non avendo una pressione sufficiente per salire fino a tale altezza, ha dovuto cercare nuovi sbocchi. Al lento lavoro degli infusori sarebbe dovuto, secondo Fraas,[1006] l'accrescimento continuo di queste collinette; codesti microbi, coi loro innumerevoli depositi calcari, trasformano a poco a poco la sabbia in una crosta che l'acqua deve perforare con isforzo, rigettando la sabbia fuori dell'orifizio; questo doppio lavoro di costruzione e di rottura continua per secoli, così a poco a poco sorgono i monticelli.
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