Questi pretesi santi musulmani sono frequentemente associati a coppie, come erano le divinità fenicie; per adattarli al nuovo ambiente religioso, bastò trasformare le spose in sorelle. Le pratiche d'adorazione sono quelle stesse di tremila anni fa: si sgozzano ancora agnelli davanti agli altari; la rupe sacra o la pietra superiore della porta, all'ingresso della tomba, è ancora unta di hennè; gli anziani del villaggio eseguono davanti alla "stazione" le loro danze solenni; pezzi di stoffa vengono attaccati come ex-voto agli arbusti dei dintorni; ogni ramo, che cade dall'albero sacro che l'ombreggia, viene preziosamente raccolto; si accendono lampade nei makam, e, su tutte le colline circostanti, la punta da cui si scorgono è segnalata da una piccola piramide. Nella cinta sacra, l'ospitalità è inviolabile, anche per l'infedele. Il nome della divinità topica non è mai pronunziato così leggermente come quello d'Allah; nulla è più raro d'un falso giuramento prestato nel santuario locale:[1018] la morte ne sarebbe la conseguenza inevitabile.
Le antiche religioni cananee innalzavano pure dolmen, menhir, circoli di pietre. Non se ne trovano più nella Giudea, dove i rigidi osservatori della legge li avranno tutti demoliti, obliando che Mosè e Giosuè ne avevano eretti. In Samaria si crede di aver ritrovato le traccie di uno di questi monumenti primitivi; gli esploratori inglesi ne hanno segnalato alcuni nella Galilea, la "terra dei Pagani"; se ne vede un altro presso Tiro ed a centinaia sono stati scoperti nelle montagne del Trans-Giordano [1019] e nella penisola sinaica; nel solo anno 1881 ne sono stati riconosciuti oltre settecento nel paese di Moab.
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