Tutto ciò che la terra può contenere di desiderabile e di bello, l'Arabo se lo immagina riunito nel magico nome d'El-Guta, il vasto giardino che circonda Damasco. Secondo gli Orientali, le acque d'irrigazione si dividerebbero in sette fiumi ed in trecentosessantacinque canali diffondenti la fertilità in trentamila giardini. Grazie all'abbondanza dell'acqua ed al miscuglio dei climi prodotti dalla vicinanza delle montagne verdi e fresche e dell'ardente deserto, le flore diverse si trovano riunite e formano i più attraenti aggruppamenti: le quercie ed i noci si innalzano accanto agli olivi ed ai cipressi; sotto le palme, sopra i cespugli di rose, i meli spiegano la loro chioma. Le prugne di Damasco sono i frutti più rinomati dell'immenso giardino [1087].
Ad oriente di Damasco, non lontano dalle grande paludi di Bahr-el-Ateibeh, il villaggio di Harran-el Auamid o "Harran delle Colonne", sarebbe stata un tempo una città importante, che certi commentatori della Bibbia identificano colla città dove visse Abramo [1088]. Più ad oriente, in mezzo alle solitudini dell'Hamad, sorgono le grandiose e celebri rovine. L'antica Tadmor, luogo di tappa nel deserto fra Damasco e l'Eufrate, ha conservato il nome sotto il quale appare per la prima volta nella storia, ai tempi d'Hiram e di Salomone; la denominazione di Palmira è una traduzione latina, ignorata dagl'indigeni. Quella gran città non è più; la povera borgata che le succede, è nascosta nelle rovine d'un tempio, di cui si sbarra la porta alla notte per guardarsi dai Beduini vagabondi; ma nel secolo decimosecondo, all'epoca del viaggio di Beniamino da Tudela, la popolazione, comprendente duemila mercanti ebrei, era ancora ragguardevole.
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