Samaria, che, senza avere la santità di Sichem, fu nondimeno per qualche tempo la capitale del regno dei Samaritani, ha perduto il suo nome antico, sostituito da quello greco di Sebaste, Sebastiyeh nella bocca degli indigeni. L'umile villaggio non merita più il titolo di "città Augusta"; ma si vedono gli avanzi d'una "via diritta" come quelle di Palmira e delle città transgiordaniche; alcune colonne segnano ancora la direzione dell'antica via trionfale. Posta una cinquantina di chilometri a nord-ovest di Sichem, Samaria, cui circondano del pari ricche colture, aveva il vantaggio di trovarsi in paese aperto, disponendo di comunicazioni più facili col mare. Il suo porto sul litorale fu egualmente una Sebaste, più nota sotto il nome di Cesarea o Kaisariyeh, sempre in onore d'Augusto. In questo punto il litorale, orlato di dune, è frastagliato in seni rocciosi, uno dei quali, difesa da moli e da frangenti, diventò sotto Erode il porto più animato della costa di Palestina. Dopo la distruzione di Gerusalemme per opera di Tito, Cesarea fu la capitale della Giudea, e le feste d'inaugurazione cominciarono coll'eccidio di migliaia d'Ebrei nel circo. Presa e ripresa nelle diverse guerre che desolarono la Siria, Cesarea fu definitivamente ridotta in rovine alla fine del secolo decimoterzo; essa non è visitata che dagli Arabi, i quali vanno a cercarvi pietre per le costruzioni di Giaffa, di Ramleh, di Beirut. La cinta, un tempo occupata dai cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, è stata donata all'imperatore di Germania dal sultano.
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