Dopo l'egira, e fino alla metà del secolo scorso, le sole informazioni che pervennero in Europa sull'Arabia centrale erano dovute ai pellegrini delle città sante. I Turchi, benchè il loro sovrano porti il titolo di "capo dei credenti", non hanno mai occupato che una stretta zona del litorale arabo, ad ovest lungo il mar Rosso, ad est sulla spiaggia del golfo Persico. Più fortunate, le truppe egiziane, comandate, è vero, da un vassallo della Turchia, riuscirono, dal 1810 al 1820, a penetrare vittoriosamente fino al centro della Penisola, nel paese dei Wahabiti; ma, nel mezzodì, nessuna regione fu visitata da loro. Non v'ha paese in cui le spedizioni di conquista abbiano lasciato meno traccie che in Arabia. Centinaia di tribù non hanno mai udito lo zoccolo d'un cavallo straniero risuonare nei pressi delle loro tende.
Se gli Arabi sono mirabilmente difesi dalle solitudini senza acqua, che li circondano, essi però non sono completamente separati dal mondo. Abituati a camminare sulle sabbie, conoscitori delle strade e dei pozzi del deserto, riesce loro più facile uscire dall'avito dominio di quello che ai vicini l'entrarvi. La storia antica parla delle trionfali scorrerie degli Hyksos nel delta del Nilo. Si sa con qual forza d'espansione irresistibile gli Arabi, discendenti da quei pastori guerrieri, si rivelarono agli altri popoli come convertitori e conquistatori. L'energia accumulata di secolo in secolo nelle tribù ignorate si manifestò tutto d'un tratto, con un'intensità superiore ancora a quella dei Greci, quando questi, sotto Alessandro, strariparono sull'Asia.
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