La più alta cima, il Giebel-el-Harim, s'aderge fino a 2,057 metri. All'estremità, la roccia, composta di basalti e fonoliti, è tutta scabra come il corno d'un cervo; baje profonde si ramificano a labirinto fra le rupi; il capo più avanzato, il Ras Masandam, è tagliato in due da un'enorme fessura, cupo viale dove possono inoltrarsi le grandi navi fra due pareti verticali, alte 300 metri, e distanti non più d'un trarre di pietra. Al largo altre rupi si alzano perpendicolarmente sui flutti. In ogni tempo questo promontorio, che separa i paraggi riparati del golfo Persico ed i terribili abissi dell'oceano Indiano, fu tenuto dai marinai per un luogo sacro. La roccia più avanzata del Masandam è la "Pietra del Saluto" o "dell'Accoglienza", sulla quale si librano i geni protettori. Nell'avventurarsi in pieno mare, il navigatore arabo offre un sacrifizio alla rupe; quando ritorna, le presenta le sue azioni di grazie. L'Indù getta nell'acqua fiori e noci di cocco in omaggio alle divinità, oppure lancia sui flutti un modello di battello colle sue vele variegate ed il suo piccolo carico di riso. Il presagio è favorevole se la nave in miniatura tocca felicemente la riva; ma se i flutti la sommergono, tutti i pericoli sono da temere: la prudenza or-dina di ritornare al porto.
Le montagne che formano nel centro della Penisola i diversi gruppi del Negied, si collegano alle catene costiere del mar Rosso ed ai monti dell'Idumea. Si può dire che esse cominciano ad ovest dei deserti dell'Eufrate con i crateri e lo colate di lave dell'Harra o della "Regione Arsa", che si prolunga a sud del Giebel-Hauran.
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