L'idea dell'immortalità dell'anima è straniera all'abitante delle steppe arabe; tuttavia esso ha una vaga idea della metempsicosi, e per questa ragione raccoglie i cani erranti [1196]. La sua vita di corse, d'incessante attività, non gli lascia l'ozio necessario per le speculazioni metafisiche, e del resto pochi Beduini hanno avuto l'occasione di trovarsi una o più volte nella loro vita, come la maggior parte degli Europei, alle "porte della morte". La loro prima malattia è quella che li uccide; la gioventù, l'età matura sono in loro periodi di salute costante, durante i quali la loro immaginazione non ha da temere il "re dello spavento" [1197]. Il Beduino non cerca la sanzione morale nell'idea di ricompense o di punizioni future: gli basta di conformarsi all'opinione generale della tribù sul bene e sul male. Ma questa opinione è molto più severa di quella delle società europee: gli abusi di confidenza, i piccoli inganni, i ladrocinii vergognosi, tanto comuni in Occidente, non si commettono presso i nomadi sì ingiustamente disprezzati: invano si cercherebbe fra i Beduini l'infame capace di negare il deposito fatto da un amico: la stretta probità negli affari è la regola nei popoli del deserto, anche in quelli che all'occasione praticano il brigantaggio a mano armata.
Si ripete spesso che da tremila anni gli Arabi non hanno mutato. Senza dubbio, fra le tribù del deserto le trasformazioni sono minime: le condizioni dell'ambiente sono tali che il genere di vita non può affatto modificarsi.
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