Notava Carlo Ritter, che all’Africa, come continente, mancano il moto e la vita. Esagerati sin che si vuole gli influssi del clima, delle condizioni telluriche, della conformazione di un continente sugli abitanti e sulla civiltà generale; ma non si può dubitare che la forma dell’Africa ci aiuta a spiegare la perduranza delle sua barbarie, appunto come i frastagliamenti della Grecia, dell’Italia, delle penisole asiatiche ci soccorrono a comprendere le prime civiltà. L’Africa pare una massa inerte, priva di membra. Non una penisola lungo le sue coste eguali, non golfi o insenature profonde, pochissimi i porti ed a distanze appena superabili, nulla insomma che porgesse modo di ghermire qualche parte del continente. Anche l’America e l’Asia presentano compatte masse terrestri ed hanno ragione di invidiare le frastagliature europee. Ma l’Africa ha l’aggravante dei suoi fiumi impetuosi, delle sue montagne inaccesse. L’Orenoco, le Amazzoni, il Mississippì, i lunghi, ampi, tranquilli fiumi dell’Asia, aperti alla navigazione, consentirono ancora alle prime genti e porgono ogni agio alle moderne di risalire sin nel cuore dei continenti, che le montagne dividono in vari sensi, non chiudono, asserragliandosi subito tutto intorno così da fare dell’Africa un immenso altipiano. I pochissimi porti naturali dell’Africa si contrastano colle armi, mentre altri si costruiscono con immenso dispendio. Le foci dei fiumi sono piene di banchi insidiosi, di sterminati aggrovigliamenti d’erbe, ed ogni piena muta la configurazione dell’estuario.
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