Ma in quasi tutta l’Africa centrale, il commercio deve farsi a spalla d’uomo. La mosca tsetsé che annebbia vaste zone, uccide col velenoso suo morso gli animali più utili all’uomo. È necessario penetrare dentro foreste vergini piene d’insidie vegetali ed animali, dove non piove mai sole, aprendo a gran fatica un sentiero che subito scompare. I fiumi bisogna passarli a guado, sulle fauci dei coccodrilli; le sinuosità del terreno non possono superarsi che a piedi, e nei vasti impaludamenti, chè guai se vi coglie la stagione delle pioggie, è necessario rimanere i giorni e le notti. Così si spiega la tratta, grazie alla quale l’avorio, le penne di struzzo, il cocco e le altre produzioni più ricercate si possono avere a prezzi commerciarli, vendendo insieme il somiere umano che le reca al litorale.
Coteste carovane, necessarie anche a portare quello che più giova ai viaggiatori europei, sono una delle più grandi difficoltà. I nativi che si assoldano al Gabon, allo Zanzibar, in Egitto ed altrove, i pagasi, i laptoti, e via via, sono gente corrotta dai contatti civili arabi e cristiani, avidissima, ladra e feroce. Dopo averli pagati in talleri di Maria Teresa, in conserve e in pezze di cotone, rubano il resto o lasciano trascinare dalle acque quanto non riescono a rubare. Superstiziosi, si dànno alla fuga se li decima il tifo o il vaiuolo, se scontrano nemici, infesti a loro gente, se trovano qualche pauroso presagio. Soltanto a prezzo della pazienza evangelica di un Livingstone, o della sovrumana audacia d’uno Stanley si tengono uniti, si riducono all’obbedienza, si infonde coraggio nei loro animi spauriti, si fanno reggere in piedi e andare innanzi, quando li assalgono la fame e gli stenti.
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