Tuttavia ordinariamente la condizione dello schiavo ha nulla di crudele; spesso è uno che vi s’è sottoposto spontaneamente per evitare la fame, e se non è trattato bene da un proprietario, l’uso lo autorizza a cambiare: abdicando la sua libertà, entra in una nuova famiglia, ed i figli, nati dalla donna libera cui sposa, sono liberi come la madre.
Bisogna dirlo, l’influenza progressiva della «civiltà» europea ha aggravato di più la condizione dello schiavo africano. Già molto prima che le coste della Guinea fossero scoperte dalle navi dei bianchi e le nazioni europee possedessero colonie nel Nuovo Mondo, a Siviglia ed a Lisbona si tenevano mercati di schiavi. Più tardi quando il Portogallo si rese padrone delle coste del paese nero, grande officina di schiavi, quando i conquistatori delle Americhe, Spagnuoli, Portoghesi, Inglesi, Francesi, Olandesi, ebbero bisogno pei loro possedimenti lontani di lavoratori robusti, che sostituissero gl’indigeni sterminati, allora una gran parte dell’Africa fu trasformata in parco per la caccia dell’uomo, e la parola «bianco» fu sinonimo di antropofago, come è ancora nella lingua galla(56). Tutto intorno al continente si succedevano i depositi di carne umana. I Portoghesi spedivano nel Brasile i negri caricati ad Angola; la Giamaica, le Barbade, la Virginia ricevevano gli schiavi da Capo Coast; la Luigiana e le Antille francesi li reclutavano nel Senegal e sulla costa degli Schiavi; Elmina era lo scalo dei negrieri olandesi di Nuova Amsterdam; ad ogni piantagione d’America corrispondeva una stazione della Guinea.
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