Il Nilo, nel gomito che forma al di sotto della regione degl’intoppi per riprendere la sua direzione normale verso settentrione, riceve un affluente orientale, il Sobat, che ha pure una gran varietà di nomi(105). Il Sobat, il cui bacino è molto esteso, che Russegger credeva essere il vero Nilo, è il primo affluente che riceva dalle montagne etiopiche una parte della sua massa liquida: in fatti esso trasporta di frequente una maggior quantità d’acqua che il Bahr-el-Gebel; quando è in massima piena le acque del fiume principale si fermano dinanzi alla sua corrente e rifluiscono con le erbe che avevano apportate(106). A voler paragonare il colore della sua coll’acqua nerastra del Nilo, certo che il Sobat dovrebbe chiamarsi Bahr-el-Abiad o Fiume Bianco(107). Mentre alcuni fra i suoi affluenti nascono nelle terre basse che si estendono ad oriente del Nilo, il più importante ha la sorgente molto più a levante, nelle alte valli dei monti Ghecha, che formano il colmo dello spartiacque tra il versante del Mediterraneo e quello del mar delle Indie. Questo fiume, il Baro, designato inoltre, come tutti gli altri corsi d’acqua di questo bacino, con una decina di nomi diversi, attraversa al suo entrare nella pianura, un lago pantanoso, il Behair degli Arabi, che l’olandese Schuver in memoria della sua patria, denominò «mare di Haarlem». Il Baro, nella stagione delle piogge, reca al Sobat una gran quantità di acqua. A 120 chilometri dal confluente col Nilo, Pruyssenaere misurò la portata del fiume, il 15 giugno 1862: essa era allora di più di 1200 metri cubi per ogni minuto secondo.
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