Più giù il corso d’acqua, largo circa 200 metri, serpeggia in mezzo a praterie, sotto le ombre, poi si precipita di botto da uno sporto di rupi per una cateratta di 25 metri di altezza; è la cascata di Tis Esat o del «Fumo», chiamata ordinariamente cascata d’Alata dal nome d’un vicino torrente. I vapori s’innalzano turbinando al disopra della voragine, lasciando intravedere in mezzo alla cascata una roccia in forma di piramide, e sulla cima un albero sempre agitato dal riflusso dell’aria. Tosto ristretto al di sotto dell’imbuto ove turbinano le acque, l’Abai penetra in una chiusa tortuosa, che non ha più di due in tre metri nella sua parte più angusta, e sormontata in questo sito da un ponte di costruzione portoghese, semplice arcata prolungata da altre sulla riva occidentale(119). A una cinquantina di chilometri al disotto, un altro ponte attraversa il fiume; ma l’arco centrale è rotto, e i suoi frammenti formano uno scoglio in mezzo alle acque agitate; lo spazio che separa i due ponti non è che una serie di cascate e di rapide, che hanno insieme un declivio di almeno 600 metri. Le Alpi si ergono a dritta e a sinistra al disopra della valle, che sembra senza uscita; ma, dopo aver descritto un semicerchio intero intorno all’altipiano dell’Etiopia, l’Abai entra nella pianura seguendo la direzione di maestro. Il suo pendio totale in questo vasto circuito è di oltre a 1200 metri, mentre nella parte inferiore del suo corso, che termina al confluente di Khartum, il suo declivio è appena sensibile; serpeggia in lenti meandri fra rive di formazione alluvionale, che sotto la pressione delle acque, si precipitano ad un tratto in prismi verticali.
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