Al di là i monti si discostano un poco da ambo le parti, ed il fiume serpeggia in una pianura di circa 15 chilometri di larghezza, la prima al disotto della cateratta, ove i terreni offrono spazio sufficiente per accogliere una grande città: colà sorgeva un tempo Tebe dai cento portici. Più lungi la valle si allarga ancora, e da una montagna all’altra la distanza varia da 20 a 25 chilometri; ma il fiume, in questa parte del suo corso, come pure al disopra di Tebe, s’appoggia principalmente sulla riva destra, corrodendo la base delle rupi della catena arabica. Sulla riva sinistra, non si scorgono altri rialzi, fuor delle dune di sabbia che si trasformano e si spostano di leggieri ad ogni nuovo uragano: fino in mezzo alle coltivazioni si annunzia il deserto libico, che si può contemplare nella sua trista distesa salendo sui promontorii della catena occidentale.
Ad una sessantina di chilometri al disotto di Tebe, presso Keneh, il Nilo descrive il meandro che più lo ravvicina al golfo Arabico: in linea retta, la distanza che separa il fiume dal mare è di solo un centinaio di chilometri. Appunto la catena orientale è interrotta in questa direzione da una delle più profonde gole trasversali che la perforano nella sua estensione; e si è potuto porre in questione se mai in un periodo geologico anteriore il Nilo siasi diretto per questa apertura verso il Mar Rosso. Ampii strati di ciottoli rotondi, che solo le acque correnti hanno potuto deporre, veggonsi in questa gola, tanto sul versante del Nilo quanto su quello del mare; e probabilmente queste tracce di un antico corso d’acqua hanno fatto appunto nascere nella viva immaginazione degli Arabi l’idea che sarebbe facile ricondurre il Nilo nel suo alveo antico, supponendo che questa forra abbia realmente ricevuto le acque del fiume.
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