In questo paese dalle linee così semplici, appena fa maraviglia il vedere le masse regolari delle piramidi che si allineano all’estremità dell’altipiano occidentale, il mattino come coni rosei e vaporosi, poi, quasi fiamme intravedute sotto lo splendore del giorno, la sera come triangoli foschi che si distaccano sul cielo infiammato.
Al disotto del Cairo, le due file di alture, fra cui scorre il Nilo come in un fossato, si allontanano abbassandosi, ed il fiume divide le sue acque in rami divergenti per versarsi nel Mediterraneo. È noto che la disposizione triangolare della pianura di alluvione, di cui il Nilo ha fatto «dono» all’Egitto, secondo l’espressione di Erodoto, ha procacciato il nome di delta a tutta la regione delle bocche, e per analogia a tutte le contrade di pari formazione, quali che sieno del resto le irregolarità dei loro contorni; ma, ad onta di tutti i mutamenti che hanno avuto luogo nella geografia locale da venticinque secoli, il delta dell’Egitto è rimasto come un modello di eleganza, per l’euritmia dei suoi rami divergenti e per i frastagli delle sue rive.
Nei primitivi tempi dell’istoria il vertice del delta era più a mezzodì di quel che sia oggi. Le acque, duemila anni fa, si biforcavano a 7 chilometri al disotto dell’attuale sobborgo di Bulaq; ma la punta intermedia non essendo armata d’uno sprone di dighe, la corrente ha dovuto corroderla senza intermissione d’anno in anno, di secolo in secolo, e farla retrocedere verso la parte bassa: l’insieme del delta si sposta dal mezzodì al settentrione a seconda che le alluvioni si depositano al di fuori delle bocche e che l’alveo superiore si solleva.
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