Nell’U-Ganda, verso l’equatore, non si vede nemmeno una interruzione nella verdura che ricopre la contrada: dove cessano i folti gruppi di banani e le altre coltivazioni, vasti giardini fra i quali spariscono i villaggi, cominciano immediatamente le foreste di grandi alberi, che portano sui loro rami colonie di piante parassite e si rannodano agli arbusti del suolo sottoposto mercè festoni di liane: più di cinquanta specie di felci crescono in queste fitte macchie. I ruscelli che serpeggiano nelle profondità scorrono come in gallerie sotterranee, ove non penetra che un incerto crepuscolo; non si riconoscono da lontano per altro che per la sontuosa ramificazione degli alberi che s’intrecciano al disopra della corrente. Ma per quanto sia bella la flora degli altipiani dell’alto Nilo, non pare che si distingua per una gran varietà; sulle 750 specie recate da Grant dal suo viaggio attraverso l’Africa, da Zanzibar al basso Nilo, 80 piante, al più un centinaio, erano ancora ignote ai botanici: la flora del Capo, la flora abissinica, la flora del Nilo, si confondono su queste alture: vi si trovano finanche alcune specie dell’Indostan(168), e di presente un certo numero di piante europee vi godono del clima che lor si conviene(169). Grant pensa che questa regione, specialmente il Karaguè, sarebbe mirabilmente propizia alla coltivazione dell’arbusto del te(170). L’albero più grande della contrada è il m’paffù: dal suo tronco, che ha fino a 7 in 8 metri di circonferenza, fluisce una gomma odorosa.
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