In questi ultimi tempi gli Arabi e gli Europei hanno fatto costruire altre case più vaste, con muri e finestre; ma il re d’U-Ganda non ha permesso d’innalzare edifizii di pietra, non avendo niuno il diritto di abitare una dimora più sontuosa del palazzo del sovrano. La foggia nazionale si cangia altresì sotto l’influenza delle mode straniere. I soli Wa-Ganda ed i Wa-Nyoro, fra le tribù dell’Africa centrale, si vestono da capo a piedi, ed anzi è comminata la pena di morte contro uomini o donne che fossero incontrate fuor di casa non abbastanza vestiti. Non ha molto tempo il vestimento nazionale era il mbugù, fatto della scorza fornita da una specie di fico (ficus ludia), che si batte a lungo per renderla pieghevole. Su questo mbugù i capi portavano una veste di pelle, sia la spoglia di un bue, sia venti o trenta pellicce della piccola antilope ntalaganya, che non è più grande di una lepre e il cui pelame bruno è di una notevole bellezza. Ma le vestimenta arabe la vincono a poco a poco. Finanche i poveri indigeni comprano l’haik, la camicia, la cintura, il caffetano; i capi si ornano la testa di ricchi turbanti o portano il fez egiziano; le calze e le pantofole surrogano i grossolani sandali di pelle di bufalo. Dicasi lo stesso per le armi: Zanzibar spedisce molti fucili, ed i guerrieri gandi depongono, per non più servirsene, i giavellotti e gli archi in un cantuccio della loro capanna. Invano il governo egiziano ha proibito l’esportazione delle armi da guerra verso la regione del N’yanza; esse vengono importate da altre parti.
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