Ciò che più colpisce lo straniero nel popolo ganda è il poco conto che fa della vita umana. Uccidere un uomo è una bagattella, di cui niuno fa caso. Un paggio della corte prova un fucile: prende di mira il primo che passa, e torna contentissimo della sua abilità e dell’eccellenza dell’arma sua. Un altro paggio si lamenta col re che dee sempre servire, dicendo che ben vorrebbe esser capo. «Ebbene, uccidi tuo padre!» Ed il figlio s’affretta di mettere ad esecuzione quest’idea per ereditare le mogli e gli schiavi che gli permetteranno di starsene anch’egli colle braccia alla cintola(186). E nondimeno non si potrebbe dire che i Wa-Ganda siano malvagi: sono piuttosto propensi a benevolenza. Trattano in generale i loro schiavi con gran dolcezza e fanno allo straniero buon’accoglienza. L’U-Ganda, dicesi, è il solo paese d’Africa ove la vita dell’ospite sia stata sempre scrupolosamente rispettata. Quando scoppia una guerra, tutti gli stranieri sono internati in un villaggio e posti sotto la vigilanza di un capo che risponde della loro sicurezza, è obbligato a fornir loro il vitto e il tetto, ma se si allontanano dal luogo stabilito per loro residenza, quel capo non è più responsabile di essi.
Molto intelligenti, e disponendo di una lingua mirabile per logica, per pieghevolezza e per sonorità, i Wa-Ganda sono probabilmente il popolo d’Africa il cui svolgimento interno è stato il più rapido da che Speke, il primo visitatore europeo, penetrò nel paese, nel 1862; già fin dal 1880 gl’inviati dell’U-Ganda hanno visitato l’Europa.
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