Del resto i Wa-Ganda non hanno idoli o feticci propriamente detti; credono ad un creatore universale, il Katonda, ma non l’adorano, credendolo troppo elevato perchè si degni di ascoltare le loro preghiere; si limitano ad invocare i lubari, genii propizii o demoni formidabili, che vivono nel lago, nei fiumi, negli alberi, nelle rupi dei monti. Mukusa, il dio del N’yanza, si incarna talvolta in un mago o in una maga, di cui prende la voce per annunziare la siccità o la pioggia, la guerra o la pace, i disastri o i trionfi. Un altro dio temuto, quello che scatena i flagelli del vajuolo, sembra lo spirito di un antico re, e risiede sulla vetta del Gambaragara, al disopra della regione delle nubi. Tutti i re hanno la loro apoteosi, e divenuti semidei, continuano a governare il loro popolo, trucidano o perdonano come facevano prima di morire. Il dio fulminatore è fra i più venerati, e il sito dove ha colpito il fulmine è tenuto per sacro; vi s’innalza un arco, sotto il quale niuno straniero ha diritto di passare, o pure vi si edifica una casa, considerata come una specie di tempio; ma è vietato di restaurarla quando cade in rovina: il suolo torna ad essere terra profana. Contro tutti i pericoli che lo circondano, provenienti dai genii del male e dalle potenze dell’aria, l’uomo di Ganda si protegge con certi amuleti di legno, di corno o di pietra, e con certe bende di stoffe che gli fabbricano i mandwa o «uomini di medicina.» Del resto sembra che questi maghi abbiano una parte d’influenza legittima, dovuta all’abilità di curare le loro malattie mercè erbe e radici.
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