Alcune palme deleb, tamarindi, boschi di ebani e grandi foreste d’acacie, che si potrebbero mettere a profitto per la loro gomma, ma sono solo adoperate pel legname, fiancheggiano il Nilo e i suoi due affluenti. Una di queste acacie è il soffar o l’albero flauto (acacia fistula), i cui ramoscelli, bianchi come l’avorio, sono guarniti di galle che l’insetto trafora per uscirne farfalla; agitandosi gli alberi, il vento penetra in quelle aperture, che mandano un suono dolce ed acuto come quello del flauto(240). Verso la foce del Yal cessano le foreste di acacie, e non si vedono più sorgere qua e là gli enormi tronchi dei baobab: a dritta e a manca del fiume si estende la brulla steppa, donde talvolta s’innalza il fumo di un accampamento arabo(241).
Il maggior numero delle popolazioni rappresentate nel bacino del Sobat appartiene a tribù negre; i Galla non vi s’incontrano che in tratti chiusi e relativamente poco estesi. Nelle prime pianure percorse dagli alti affluenti Baro e Garre, al loro uscire dai monti etiopici, vivono tribù denka ed altre che hanno cercato a pie’ dei monti un asilo contro i negrieri del basso Sobat: mescolate nella fuga, queste tribù ne costituiscono di nuove, poco diverse dalle originarie popolazioni. A mezzodì i Yambo o Gambo, che Antonio d’Abbadie, pel loro linguaggio, crede appartengano alla nazione degli Sciluk, mentre Schuver vede in essi dei Denka, scorrono le campagne piane dove serpeggia il Bako; più lungi ancora il suolo, innalzandosi ad altipiano, è occupato da altri popoli che diconsi di stirpi nigrizie, i Kirim, i Mala, gl’Iscing, i Matze Malea.
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