Non si può dubitare che questo strato ocroso, che ricopre d’una crosta uniforme gli altipiani dell’Abissinia, sia formato di lave in decomposizione, come quei potenti cumuli di laterite che si estendono sul Dekkan e su quasi tutta l’India meridionale. Trovansi in molti luoghi colonnati basaltici parzialmente trasformati in masse di argilla rossastra: il rosso è il colore normale delle rocce etiopiche; perfino le vene di quarzo sono frequentemente colorate di roseo dall’ossido di ferro. Secondo Heuglin, una almeno delle bocche ignivome donde si versarono in altri tempi le lave dell’Hamasen pare sia perfettamente conservata, presso a poco a mezza via tra Keren e Adua capitale del Tigrè. Il cratere, che s’innalza per circa 120 metri al disopra della superficie regolare dell’altipiano, pare abbia sempre la sua voragine terminale e la sua piramide centrale di scorie, come se da poco si fosse estinto; ma Rohlfs, seguendo lo stesso itinerario, ha inutilmente cercato cotesto vulcano. A mezzodì, e sullo sporto orientale dell’altipiano, una specie di spartiacque, altri vulcani isolati innalzano i loro coni regolari. Alcune delle cime del Tigrè meridionale sono vere montagne, non solo per la loro altezza totale, ma ancora per la loro altezza relativa al disopra delle terre circostanti. Così ad oriente di Adua, il Semayata, riconoscibile alla spaccatura della cima, s’innalza a 3092 metri, vale a dire a mille metri sopra la città rannicchiata ai suoi piedi in un avvallamento dell’altipiano; ad oriente, verso lo sporto esterno delle terre alte, si mostrano cime rivaleggianti col Semayata; anzi il cono di Aleqwa si erge all’altezza di 3375 metri.
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