Dei due viaggiatori che di recente hanno salito il Buahit, più di trent’anni dopo l’ascensione fatta dal signor Antonio d’Abbadie per primo, Abargues de Sosten vide ampie ghiacciaie cosparse di frantumi(262), mentre Stecker le cercò invano; ma trovò sull’Abba-Yared di quelle estensioni di acqua cristallizzata, che secondo lui sarebbero state non ghiacciaie, ma campi di grandine mantenuta nello stato solido dal freddo dell’atmosfera(263); come Bruce(264), egli pure nega l’esistenza nell’Abissinia di quella neve che nullameno un sì gran numero di viaggiatori hanno visto coi loro occhi e toccato con le loro mani. Del resto, vi sono pochi siti ove l’aspetto dei monti del Simen abbia la maestà delle grandi Alpi, non essendo la loro altezza relativa che di cinque a ottocento metri al disopra del basamento degli altipiani. Ma dagli sporti delle spianate, che ne sono separate dai profondi abissi dei kualla, queste montagne, fantasticamente frastagliate a torri ed a guglie, e che presentano la successione sui loro fianchi di tutti i climi, appaiono nella loro grandezza. Dal passo di Lamalmon, sulla via di Gondar, il quadro prodigioso si rivela ad un tratto alla svolta di una rupe, ed i viaggiatori non possono trattenere un grido di ammirazione alla vista di quelle montagne nevose che adergono nel cielo le loro vette. Non sembra che gl’indigeni o gli Europei che superarono gli scoscendimenti del Simen si siano mai lamentati del «male di montagna»; ma il freddo vi fa annualmente delle vittime(265): nel 1848 trecento uomini perirono nelle nevi del valico di Buahit.
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