Ma una vetta ancor fumante s’erge all’estremità di un contrafforte dell’altipiano d’Etiopia, a libeccio della baia di Hanfila o Hamfale. Questo vulcano attivo, che fa testimonianza di un lavorio interno di cui il continente africano offre di presente pochi esempii, è conosciuto dagli Afar sotto il nome di Artali o Ortoale, vale a dire «monte del Fumo». Hildebrandt, il solo viaggiatore che abbia asceso questa montagna fino a una piccola distanza dal cratere, la descrive come un cono di lave nerastre, tagliato da crepacci, e che lascia venir fuori in densi globi un vapore biancastro. Nelle vicinanze un altro monte, ora in riposo, chiude giacimenti di zolfo: da ciò il suo nome di Kibreale o «monte di zolfo»; più a settentrione, nella pianura salina, s’innalzano le solfatare isolate di Delol o Dallol, ove gli Abissini dell’altipiano vengono a cercare lo zolfo di cui hanno bisogno per la fabbricazione della polvere; finalmente ad oriente, presso il piccolo porto di Edd, un caosse di zolfatare e di piccoli crateri dànno al paese l’aspetto di un mare in tempesta. I marinai parlano di eruzioni di lave che avrebbero avuto luogo «ad una giornata di cammino» da Edd, specialmente nel 1861; ma la montagna ignivoma di Edd, oggidì ben conosciuta, differisce dal vulcano d’Ortoale, sito, è vero, a più di un giorno di cammino, ad un cento chilometri nell’interno delle terre. I monti coronati di crateri sono molto temuti dagl’indigeni, che li considerano come la dimora degli spiriti maligni; guidati dai maghi, menano colà una vacca per sacrificarla; ma, appena l’animale è stato collocato sul rogo fiammeggiante, gli astanti fuggono senza osare di guardarsi dietro: li coglierebbe sventura se vedessero gli spiriti divorarsi la preda.
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