La verità non può essere molto rispettata in quel paese di discussioni e di sottigliezze teologiche in cui ogni interpretazione s’appoggia sopra un testo sacro. Un sovrano dello Scioa, racconta Valentia, dopo aver pronunziato un giuramento che non aveva intenzione di mantenere, non mancava mai di raschiare la lingua fra i denti e di sputare a sè d’intorno, chiamando in testimonio i suoi cortigiani ch’egli si nettava la bocca: il giuramento era annullato con questa cerimonia. Un Abissino diceva al sig. Antonio d’Abbadie: «La bugia dà al linguaggio un sale che manca sempre alla pura verità».
Sebbene gli Etiopi sieno nel novero dei popoli civili, la loro agricoltura è ancora nello stato rudimentale; molti aratri hanno per vomero un bastone o un ferro di lancia, che squarcia il suolo senza rivoltarlo; dopo la semina, non si pone alla terra nessuna cura fino al momento della raccolta; certe piante, utilissime pei loro frutti o pei loro prodotti industriali, sono lasciate nello stato selvaggio. Fin la raccolta delle frutta degli alberi è negletta; e la gomma, prodotta in copia dalle acacie del Sahel, del Samhar e delle pendici della catena etiopica, non si raccoglie fuorchè nelle vicinanze immediate delle vie di commercio, tra Massaua e gli altipiani.
Intanto è certo che parecchie specie di vegetali sono state introdotte nel paese, in ispecialità la vite, al tempo del commercio con Bisanzio; in questo secolo Schimper ha propagato la coltivazione delle patate, i missionarii alemanni vi hanno portato il cavolo rosso, e Munzinger ha dotato di parecchie nuove piante il paese dei Bogos.
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