Certamente il sovrano signore cerca di non concedere i grandi feudi ecclesiastici o militari se non che a membri della sua famiglia o a servitori a lui devoti; inoltre egli si circonda di un esercito permanente di «wottoadder» o soldati mercenari, che ora sono bene armati di fucili a tiro rapido, «vestiti di fuoco» come i soldati etiopi, il che lo esonera dal dover ricorrere all’appoggio di feudatari turbolenti o allodiali. Si sforza del pari di ritenere alla sua corte i vassalli di cui più diffida; ma la sua ambizione urta in altre ambizioni, la sua astuzia in altre astuzie, e la fortuna non sorride sempre allo stesso persecutore. La storia moderna dell’Etiopia mostra con quale rapidità il potere si tramuti d’uno in altro, dal signore al vassallo: benchè i negus-negest, «re dei re», «sovrani d’Israele», cerchino tutti di rannodare la loro genealogia a Salomone e alla regina di Saba, madre di Menilek, primo re di Etiopia, e portino sui loro vessilli il leone della tribù di Giuda, manca loro il tempo per persuaderne i sudditi: la dignità reale non ha avuto la legittimazione di una numerosa successione di monarchi. In realtà il re d’Abissinia non è padrone d’altro che del suolo sul quale accampa il suo esercito e delle città largamente aperte dove la sua cavalleria si può mostrare al minimo allarme. Questa è la ragione per cui l’attuale sovrano, del pari che il suo predecessore Teodoro, non ha altra capitale che il suo accampamento: un tocco di tamburo da guerra basta perchè l’esercito si metta in marcia.
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