Il supplice si presenta con una pietra al collo innanzi ad un superiore adirato. Quando un Abissino vuol querelarsi di un altro, lega la sua toga a quella dell’avversario, e questi non può disciogliersi senza dichiararsi colpevole; bisogna che segua l’accusatore innanzi al giudice, e le due parti, denudandosi le spalle e il tergo quasi per aspettare i colpi che percuoteranno l’uno o l’altro, invocano la decisione del magistrato. Ognuno presenta personalmente la propria difesa; sarebbe una vergogna far perorare la propria causa da un terzo: il titolo di avvocato è considerato come un insulto. Spesso gli Abissini si rivolgono ad un fanciullo perchè giudichi fra essi; innocente egli stesso, il fanciullo è considerato come il miglior arbitro per sentenziare fra il male ed il bene; dopo aver gravemente ascoltato i litiganti e i testimoni, egli pronunzia la sua sentenza, che tutti accolgono colla maggior deferenza, e che è talvolta il giudizio definitivo fra le parti.
La schiavitù esiste in Abissinia, ma solo sui negri, che costituiscono una piccola parte della popolazione. Il padrone non ha diritto di vita e di morte sulla persona dello schiavo, e sarebbe anzi soggetto alla pena capitale se lo vendesse; in generale, dopo una servitù di alcuni anni, lo affranca, dandogli gli ordigni o il denaro necessari al suo mantenimento: divenuto cliente, l’affrancato sente anche maggior rispetto pel suo antico padrone(337). Prima della conversione cui furono costretti i musulmani, tutto il traffico della carne umana si faceva per mezzo loro.
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