Gli è vero che, a prima giunta, il paese sembra completamente aperto agli Etiopi che popolano gli altipiani: essi hanno solamente a seguire il corso delle valli e dei torrenti che scendono dalle loro montagne; ma il clima delle basse terre è per essi un nemico ben più terribile non lo siano gli indigeni. Essi non possono respirare a lungo quell’atmosfera mefitica; se fanno conquiste, possono essere soltanto momentanee, e, per la forza delle cose, esse sono loro ben presto ritolte. D’altra parte, se la natura loro interdice la conquista dei paesi bassi per loro stessi, essi sarebbero molto molesti per gli invasori dell’alta Nubia, i quali volessero utilizzare la strada delle fertili montagne avanzate, per Massaua ed i paesi dei Mensa e dei Bogos. Gli Egiziani hanno imparato a loro spese quel che costasse l’avventurarsi per cotesta strada, esposti alle marcie di fianco dei guerrieri d’Etiopia. Più al nord, da Suakim al Nilo, l’acqua dei pozzi è appena sufficiente alle tribù erranti, e i reggimenti inglesi rifiutarono di azzardarsi in quelle steppe rocciose, nelle quali la lancia dei Bisciarini avrebbe fatto in pezzi i ritardatari sitibondi. Ma, nessuna strada o ferrovia essendo stata costrutta, non rimangono dunque, per l’invasione della pianura del fiume Azzurro e dell’Atbara, che le tre strade tradizionali del nord, quella che rimonta il Nilo di cataratta in cataratta per tutti i meandri del fiume e quelle che evitano le grandi curve del Nilo, all’ovest per il deserto di Bayuda, fra Debbeh e Chartum, all’est per quello di Nubia fra Corosco e Abû-Amed.
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