Molto curanti della purezza della propria razza, non permettono alle figliuole di maritarsi con negri od Arabi. Temendo a buon dritto lo straniero, vivono fra picchi inaccessibili, fortezze naturali, alle quali le donne si arrampicano ogni giorno per approvvigionare il villaggio, ma il sentiero è rigorosamente interdetto a gente di altre razze. I Senegio sono i soli tessitori del paese, e sono eziandio i soli fabbri-ferrai, e gli è grazie alla loro doppia industria se sono riesciti finora a salvare la loro esistenza in mezzo a tanti nemici. Essi sono anche gioiellieri abili e fanno ornamenti di rame molto eleganti, ma non li vendono: quegli ornamenti sono riservati alle loro donne, che tengono molto ad abbellirsi; dal loro collo scendono a più ranghi collane di conterie.
All’oriente dei Gumus, le pianure seminate di piccole colline, che si prolungano verso le prealpi di Damot e dell’Agaumeder, cominciano a popolarsi di immigranti Agau; questi vengono nel paese a famiglie isolate, si stabiliscono nel cuore dei boschi, a distanza di qualche chilometro gli uni dagli altri, senza temere l’ostilità degli indigeni(506). Essi si sanno difesi dal prestigio del grande impero militare dall’Etiopia; se qualche torto venisse fatto loro, sarebbe presto vendicato da una guerra di sterminio. Cosicchè i limiti dell’Abissinia si accrescono d’anno in anno per le immigrazioni di nuovi coloni; di indigeni indipendenti, i Gumus sono quasi mutati in tributarii. I Ginjar o Gingiar, che occupano più al nord la regione delle prealpi etiopiche sino sulle frontiere del Galabat, hanno pure da pagare il tributo, sovente anche in schiavi: sono negri misti di Arabi e di Begia, probabilmente profughi.
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