La valle del Tumat non era già più paese egiziano molto tempo prima che scoppiasse la grande insurrezione delle popolazioni sudanesi. Eppure Mohammed-Ali considerava questa provincia come il futuro tesoro del suo impero; egli contava sull’oro mescolato alle sabbie del Tumat e dei suoi affluenti per pagare il suo esercito e liberarsi dell’incomoda sovranità del padiscià. Grazie alle sue mire ambiziose, l’alto bacino del Nilo fu esplorato dagli Europei, Cailliaud, Trémeaux, Kovalevsky, Russegger; ma le spese di occupazione del paese, le guerre che convenne sostenere contro le tribù, lo spopolamento che fu la conseguenza della caccia all’uomo, la sorveglianza dei condannati che lavano le sabbie, costarono al bilancio del vicerè assai più non gli fruttassero le miniere, e Said pascià diede l’ordine di abbandonarle: le fortezze furono atterrate ed i villaggi ripresi dai loro antichi abitanti. Tuttavia i cercatori d’oro indigeni trovarono il loro profitto là dove trovava la sua rovina il governo; le pepite designate sotto il
N. 68. — MINIERE D’ORO DI FAZOGL. [vedi 068.png]
nome di tibr e raccolte ordinariamente in tubi di penne di avoltoio, servono di moneta per le compre delle merci portate dai gellabi. I principali lavatoi si trovano sul versante occidentale delle montagne, in una valle che si inclina verso il Nilo Bianco e in mezzo alla quale si erge un monte piramidale, il Gebel-Dul, del quale ogni forra fornisce dell’oro. La produzione totale è calcolata da Schuver a 40,000 lire italiane l’anno; su questa somma lo sceicco di Gomacha preleva il quarto circa; i soldati riuniti a lui intorno sono per lo più negrieri sfuggiti al disastro di Suleiman nel paese dei Fiumi(539). I Galla che vengono ai mercati di Tumat, preferiscono alla polvere d’oro un altro segno rappresentativo del valore, e cedono solo le loro derrate contro i «sali» importati dall’Etiopia orientale; secondo Schuver, gli abitanti della valle del Tumat ricevono così ciascun anno più di 30,000 chilogrammi di moneta salina.
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