Cinque o seimila negozianti, Arabi per la più parte, s’incontrano a Metammeh, e più di un migliaio di Abissini, facchini, taglialegna, venditori di idromele, scendono dalle loro montagne per raccogliere le bricciole del banchetto. Numerosi coccodrilli si sollazzano nel torrente della Mesciareh senza lasciarsi impaurire dalla folla, ma eziandio senza aggredire alcuno; la loro vita è protetta dallo sceicco di Galabat(549). In massima parte i residenti di Metammeh sono Takruri, che danno l’esempio del lavoro e della iniziativa industriale alle vicine popolazioni. Non solo i Takruri importano dall’Etiopia pelli, caffè, sale, avorio, alcune stoffe e animali da sella e da soma per venderli ai mercanti venuti dal Nilo, ma radunano anche con accuratezza le derrate del loro stesso paese, miele, cera, tabacco, orzo, gomma, incenso, materie tintorie e farmaceutiche(550); essi vendono agli Abissini la massima parte del cotone del quale questi hanno bisogno per tessere le loro tuniche. Dalle provincie del Sudan ricevono sovratutto oggetti di vetrerie, armi e scudi o talleri di Maria Teresa, che servono esclusivamente come moneta nell’Etiopia settentrionale. Quanto al commercio degli schiavi, poc’anzi più attivo di tutti gli altri, si sa che loro fu a diverse riprese ufficialmente vietato, ma sempre continuò: solamente questo traffico non si fa più sulla pubblica piazza; nel 1879 la vendita degli schiavi diede più di 500,000 lire italiane(551). Al tempo della dominazione egiziana, il governatore di Chartum manteneva nel Galabat una guarnigione di 2000 uomini.
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