L’isolotto piramidale di Zemergit, che si erge a un centinaio di chilometri nel mare, sul prolungamento del Ras-Benas, guida da lungi le navi sulle acque perigliose del golfo Arabico.
Le montagne d’Elba si riannodano nell’interno dei paesi ad altre prominenze di roccie di diverse formazioni, nelle quali gli antichi Faraoni lavorarono miniere d’oro e d’argento. È certo che durante il suo lungo periodo di splendore, l’Egitto aveva una grandissima abbondanza di metalli preziosi; le testimonianze dei monumenti concordano a tale riguardo con quelli degli autori greci. La Nubia, a quanto pare, forniva la maggiore proporzione dell’oro richiesto(626), e, secondo la tradizione giustificata da ammassi di ruderi, da gallerie tagliate nella roccia aurifera, da grotte già abitate, si è indotti a credere che il centro principale di questa industria mineraria si trovasse nell’Uadi-Allaki, serie di burroni che si prolunga sino in mezzo al deserto, all’ovest delle montagne d’Elba. Sino alla metà del dodicesimo secolo dell’êra volgare, quelle miniere furono lavorate: Faraoni, Tolomei, imperatori bizantini e califfi dovettero difendere le loro colonie di minatori contro gli attacchi dei circostanti popoli nomadi, successivamente designati sotto il nome di Blemmi, di Begia, di Bisciarini; ma è probabile che l’approvvigionamento della legna per far saltare le roccie, e di acqua per il sostentamento dei minatori fosse in ogni tempo l’ostacolo più grande al buon esercizio delle miniere; tutte le sorgenti del paese erano state accuratamente requisite, e lunghesso le antiche vie del deserto si osserva ancora sulle roccie, disopra delle fontane, una croce sormontata da un cerchio, segno che indica la presenza dell’acqua(627). La descrizione di Diodoro Siculo, come l’aspetto delle gallerie, dimostrano che l’oro non era raccolto nelle sabbie, ma che lo si estraeva dalla stessa roccia, riducendola in frantumi.
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