La purezza dell’asciutta atmosfera del deserto ne spiega la perfetta salubrità, non soltanto per l’indigeno della Nubia, ma anche per gli stranieri; nessun metodo di risanamento è preferibile a quello di un accampamento sotto la tenda, lungi dalle emanazioni dell’umida pianura, almeno per quelli che, ad esempio degli Arabi, abbiano la precauzione di vestirsi in modo da non temere le brusche alternative di temperatura dal giorno alla notte. Mai la peste d’Egitto penetrò in Nubia, e le oftalmie, così terribili nelle regioni del basso Nilo, sono sconosciute a monte delle cataratte di Uadi-Halfa, malgrado lo splendore della luna riflesso dalle pareti liscie delle roccie e dalla cascata argentina del fiume. Ma nelle regioni della Nubia dove le inondazioni si addentrano nelle campagne, lasciando qua e là paludi stagnanti, le febbri maligne sono assai comuni ed hanno di frequente un esito fatale; la maggior parte degli indigeni non attinge direttamente nel fiume l’acqua che deve servire di bevanda; essi preferiscono scavare un pozzo a distanza, perchè il liquido giunga filtrato dal suo passaggio nella sabbia e lo lasciano riposare lungo tempo al sole. Essi si guardano bene eziandio dall’imitare i Turchi, che hanno fabbricato le loro città in riva al fiume; i loro villaggi si innalzano nella steppa o sul limite del deserto, al di fuori della zona dei miasmi palustri(640).
Paese di transazione quanto a clima, la Nubia lo è pure per la flora e la fauna. Il baobab non si trova più nelle pianure al nord del Cordofan e dei monti avanzati dell’Etiopia.
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