Le principali tribù hanno i loro accampamenti nella Nubia; le altre percorrono, sino al nord di Kosseir, la regione di altipiani e di burroni tra il Nilo ed il mar Rosso. Gli Ababdè si chiamano «figli dei gin», come per indicare che essi sono autoctoni, nati nel deserto. Rassomigliano ai Bisciarini, ma hanno i lineamenti più fini, i movimenti più graziosi, il carattere più dolce. Gli Ababdè del nord parlano arabo, sebbene con un miscuglio di parole barabra; quelli del sud hanno conservato il loro dialetto begia; finalmente, nelle vicinanze del Nilo, la lingua dominante presso di loro sarebbe quella dei Barbarini(661). Klunzinger ha constatato che gli Ababdè di Kosseir ricusano di parlare la loro lingua nazionale in presenza di stranieri: la rivelazione dell’idioma misterioso attirerebbe la sventura sulle loro teste. La sventura colpirebbe pure la loro famiglia se dopo il matrimonio la moglie rivedesse la propria madre; come il Bantu dell’Africa meridionale, l’Ababdè deve scegliere una dimora lontana perchè non abbia a temere di incontrare la sua matrigna(662). Egli non vive sotto la tenda, come l’Arabo, ma si costruisce una capanna con canne e stuoie che raccoglie e carica sui cammelli quando gli conviene mutare di pascolo: dimora pure nelle grotte come i suoi antenati, i Trogloditi; scavando l’argilla delle fessure, vi si troverebbero certamente molti oggetti d’origine preistorica. Gomma, qualche altra minuta derrata, e pesci nelle vicinanze del mar Rosso, servono agli Ababdè di mezzi di scambio, per procurarsi il durra necessario ai loro pasti frugali.
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