Meglio accolti dagli indigeni, che i conquistatori nordici dal freddo sguardo, dal labbro severo, ai quali il clima impedirà sempre di formare colonie propriamente dette, questi immigranti d’Europa costituiscono nelle città una società ingrossantesi, che si calcola di già a più di centomila individui, e che non mancherà certo di imbarazzare l’esercizio del potere britannico. Gli è vero che i nuovi padroni del paese hanno un mezzo sicuro, se non di farsi amare dalle popolazioni, almeno di acquistare il loro rispetto: quello di restituire il terreno ai coltivatori, di strapparli agli usurai che li succhiano, di assicurare loro una giustizia imparziale, di lasciare ogni volta più «l’Egitto agli Egiziani». Ma questo artificio di scomparire a poco a poco, quale governo lo avrà mai! Quello della Gran Bretagna ne darà esso l’esempio? Chi prestasse fede alle assicurazioni solenni e replicate dei capi del governo inglese, essi non avrebbero che un’ambizione: ristabilire l’ordine nelle finanze e l’amministrazione dell’Egitto, poi, dopo avere compiuta questa opera pia, ritirarsi, lasciando ai loro successori un buon esempio da seguire! (685)
Riannodato com’è al circolo di attrazione della politica europea, l’Egitto può dirsi naturalmente uno dei paesi meglio esplorati del continente africano. All’epoca della spedizione francese, sulla fine dello scorso secolo, i numerosi scienziati che accompagnavano Bonaparte, Desaix e Kleber studiarono il paese sotto ogni punto di vista, geologia e mineralogia, storia del suolo, idrografia, annali, architettura, usi e costumi, economia sociale, e l’insieme dei loro lavori è ancora il monumento più rilevante che esista sulla bassa valle del Nilo.
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